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L'anoressia: una sfida della psicoanalisi

L’anoressia, quella vera, rappresenta ancora oggi un’enorme sfida alla teoria psicoanalitica in quanto molto spesso quest’ultima non sembra fare presa sui casi più gravi, come se il potere salvifico della parola non attecchisse su un corpo che via via tende a sparire.


Prima di addentrarci nel discorso vero e proprio è necessario fare una precisazione: trattandosi di una manifestazione dell’inconscio (anche se vedremo la particolarità che contraddistingue l’anoressia dagli altri sintomi), essa può presentarsi sia in soggetti con una struttura nevrotica, sia in soggetti con struttura psicotica. Questa nota è importante sottolinearla in quanto mentre nell’anoressia nevrotica è possibile interrogare il sintomo, cercare di metterlo in dialettica, inscriverlo in un discorso più ampio (l’anoressia come sintomo isterico ad esempio può condensarsi in una frase ‘’se non mi ami, non mangio’’), quella psicotica è godimento puro, godimento puro di un corpo che tratta la propria angoscia cercando di ridurre al minimo le tensioni somatiche. Per dirla in altro modo: l’anoressia psicotica non rimanda ad altro, non è un sintomo che sorge come metafora di qualcos’altro.


Tornando all’anoressia nervosa – ciò di cui ci occuperemo – possiamo sin da subito tracciare la sua qualità più evidente: non è un appello all’Altro ma un rifiuto dell’Altro. Il sintomo psicoanalitico ha sia una parte di godimento solipsistico, autistico, ma conserva anche la domanda all’Altro, un grido, una domanda. Il sintomo anoressico, al contrario, sembra non volerne sapere dell’Altro in nessun modo mettendo in scacco nella maggior parte dei casi ogni tentativo terapeutico che diventa vano proprio nella misura in cui il terapeuta rappresenta l’Altro che l’anoressica vuole abolire. Nella stragrande maggioranza dei casi il percorso di cura inizia dopo un ricovero ospedaliero forzato, proprio quando il peso del soggetto è talmente minimo che la vita risulta in pericolo.


Perché c’è questo rifiuto dell’Altro? Perché l’anoressica è abitata da un non-desiderio? Facciamo un salto temporale a quando il vivente non è ancora un soggetto. Per non farla lunga possiamo dire che il nutrimento che il neonato riceve dal seno materno non si limita, come invece accade nel regno animale, al semplice siero che sfama, al puro senso di sazietà fisiologica che mette la parola fine allo stato di tensione del vivente. Tutt’altro! Il neonato ha bisogno anche di un desiderio particolare – un desiderio d’amore – che accompagni il rito dell’allattamento. Chiunque avrà fatto esperienza di questo passaggio vedendo una madre che, mentre nutre il proprio figlio, canta una nenia oppure parla al bambino, gli sorride, lo guarda amorevolmente. Lacan direbbe che il neonato ha bisogno del seno + segno (d’amore) affinché si possa veramente saziare. Quindi se questo desiderio particolare che una madre nutre per il proprio figlio non viene trasmesso assieme al cibo è chiaro che il cibo risulta sterile, privo di significato. Se, per dirlo in altro modo, il desiderio del soggetto è il desiderio dell’Altro – come afferma Lacan – e questo desiderio non viene trovato nel campo dell’Altro allora il non-desiderio è ciò che viene prelevato dall’anoressica. La scintilla che dona realmente la vita non accende il suo fuoco rischiando di congelare il soggetto ad uno stato di fissazione mortifero di un corpo che non pensa altro che sparire. La domanda ‘’puoi perdermi?’’ (che sottende un appello all’Altro nell’anoressia isterica) si eclissa difronte ad una non domanda, ad un niente. Da qui la famosa frase di Lacan: l’anoressica mangia niente. Il niente è ciò attorno cui ruota l’esistenza del soggetto anoressico. Possiamo ricondurre questo niente alla privazione di un senso che doni significato alla vita stessa. Se ci fosse realmente una domanda questa potrebbe essere: cosa sono stata io per te? La questione anoressica è proiettata interamente al passato. La dimensione temporale del presente e del futuro è assolutamente fuori discussione.


La vera sfida terapeutica consiste nel creare (e non nel ri-creare come accade nella maggior parte dei casi clinici) un senso laddove un senso sembra non essersi inscritto nel vivente. Questo però non deve indurci a pensare che il soggetto anoressico sia esente dalla tanto famigerata responsabilità soggettiva e che nessuno, al mondo, abbia avuto un desiderio verso di lui. Se così non fosse, parleremmo di un soggetto psicotico, un soggetto al quale è stato privato l’accesso alla vita simbolica. In questo caso parliamo di un soggetto al quale è stata donata una vita, una vita potremmo dire embrionale. Parliamo di un soggetto che ha ricevuto altro da altro ma non dall’Altro ed è su questo che si deve scommettere nella clinica affinché possa incendiare una vita che rischia di congelarsi definitivamente fino ad implodere come una supernova.

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