Ormai è noto che l’inconscio è la scoperta per eccellenza del campo della psicoanalisi. Freud, colui che ha studiato le sue logiche ha, nel corso del suo insegnamento e in modo molto rigoroso, cercato di dettagliarne gli aspetti più significativi. Innanzitutto è bene porci una prima domanda: dove si trova l’inconscio? Non è una domanda scontata perché non possiamo affermare l’esistenza di un’area inconscia nell’organo cerebrale. Possiamo però dire che il corpo del soggetto è la sede dell’inconscio. Quando parliamo del corpo parliamo proprio di tutto il corpo, anche delle sue viscere. Se ci pensiamo è proprio il corpo a parlare, attraverso i sintomi somatici che produce ad esempio un attacco di panico, dell’inconscio che lo abita. Il primo passo è quindi fissare bene a mente che quando parliamo di inconscio parliamo di tutto ciò che la parola (il significante per dirla con Lacan) ha bonificato del corpo del vivente. Andiamo per ordine. Inizialmente non esiste alcun soggetto ma esiste un vivente, un corpo che vive e si agita ed è ancora totalmente estraneo al futuro meccanismo relazionale con l’Altro. Questo corpo è spesso posto in uno stato di tensione a causa di stimoli sia endogeni che esogeni (un mal di pancia, una temperatura sgradevole, un suono spaventoso). Solo a questo punto arriva l’intervento dell’Altro, ipoteticamente della madre del neonato, che interpretando il suo grido – un grido che non significa nulla se non la testimonianza di una tensione interna – riporta l’omeostasi in quel corpo. Questa è la prima forma di piacere che il vivente incontra, un piacere che altro non è se non l’abbassamento di quella tensione diventata spiacevole. Per questo Freud più avanti dirà che la felicità non esiste, esiste l’assenza di dispiacere. Ecco che il grido di bisogno del vivente, successivamente, diventerà un grido di domanda. Domanda di altro e di Altro. Domanda di qualcuno che rimetta nuovamente pace al suo corpo ma anche domanda d’amore. Possiamo dire che l’intervento dell’Altro, la sua interpretazione di quel grido insignificante, produce la scintilla che andrà a scalfire il corpo del vivente, bonificandolo e inserendolo nella dimensione simbolica della parola. Un big bang che lentamente formerà costellazioni pulsionali, molteplici strade per godere e, se tutto va bene, la via per il desiderio. Fatta questa piccola digressione andiamo nel cuore del discorso introducendo la qualità fondamentale dell’inconscio: la ripetizione. L’inconscio è un meccanismo che ripete, ripete e ripete perché in questa ripetizione trae il suo soddisfacimento. Attenzione, non nell’epilogo della ripetizione ma proprio nell’atto di ripetere. Quando un paziente si rivolge all’analista perché soffre, ovviamente gli si crede. Il suo ‘’io’’ sta denunciando una sofferenza che il suo inconscio, tramite la ripetizione, gli trasmette. Noi però non ci fermiamo alla sterile dimensione della lamentela ma abbiamo ben chiaro che se c’è una sofferenza, da qualche altra parte c’è un godimento, un godimento inconscio per l’appunto. Allora dobbiamo riprendere brevemente il discorso del neonato e soprattutto della tensione. Se il piacere che il vivente sperimenta è quello derivante dall’azzeramento della tensione è chiaro che per poterne avere ancora (di piacere) è necessario prima portarsi ad uno stato di tensione. La clinica lo insegna chiaramente: pensate al bambino che trattiene il rilascio delle feci. Perché lo fa? Freud (i primi scritti sono di un Freud ancora medico, sedotto dal predominio della biologia sullo psichico teniamolo bene a mente) lo spiega chiaramente nei suoi ‘’Tre saggi sulla sessualità infantile’’: la membrana anale ha la stessa eccitabilità degli organi sessuali e così, il trattenimento delle feci, stimolando quanto più possibile la membrana permette di godere al meglio il momento del loro rilascio. Facciamo un esempio avanzando di qualche decennio l’età del soggetto: ipotizziamo un uomo che adora la bella vita e seduce molte donne scambiandosi con loro messaggi sempre più spinti con la promessa da parte di entrambi di incontrarsi per concretizzare l’atto. Questo rapporto a ‘’distanza’’ produce in lui un’eccitazione costante (una tensione) che però cesserebbe nel momento in cui l’incontro di fatto avverrebbe. Puntualmente, il giorno stesso dell’incontro, inventa una scusa per non presentarsi rimandando l’impegno ad un altro momento. Così facendo, per qualche altro tempo, può assicurarsi il piacere di immaginare ciò che sarà, godere autisticamente del suo corpo tramite attività masturbatorie frequenti ma di non saziarsi del tutto. Il gioco della tensione non si ferma mai in quella che è una vera e propria macchina infernale. Ecco spiegato come l’inconscio gode e come il soggetto si lamenti di questo godimento, di questo eccesso che non ne vuole sapere di abbandonare quella prima scena in cui il piacere è entrato a far parte della sua vita.
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Dr. Andrès Rivera Garcia
Psicologo Psicoterapeuta
Psicologo Online
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