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Immagine del redattoreAndres Rivera Garcia

La psicosi: un buco nel linguaggio

Il nevrotico abita il linguaggio, lo psicotico ne è abitato. (J. Lacan)

Da questa citazione di Lacan possiamo estrapolare sin da subito due importanti deduzioni che ci accompagneranno per tutto il corso del ragionamento: da una parte il nevrotico vive nel linguaggio, come un inquilino – che paga il suo affitto -, dall’altra lo psicotico si rende abitazione del linguaggio che lo pervade e lo perturba.


Da qui dobbiamo fare una brevissima digressione. Cos’è il linguaggio per Lacan? Il linguaggio non è solo la parola parlata ma è tutto l’innesto simbolico che ci permette di metaforizzare la vita stessa. Il linguaggio è quella potenza che fa esistere un elefante rosa in una stanza nella misura in cui lo possiamo immaginare, pensare, dire. Il linguaggio è quel luogo in cui si può prelevare la molteplicità del senso delle cose. Quando il semaforo è rosso ci si ferma ad esempio. La luce rossa del semaforo non è quindi solamente un colore ma diventa altro, diventa un’indicazione, una parola. Un colore, quindi, si tramuta in altro. Ecco lo scivolamento metaforico di coloro che si servono del linguaggio. Questo è un esempio estremamente banale per introdurre ciò che si intende per linguaggio nel campo psicoanalitico.


Un’altra importante evidenza del linguaggio è che esso pre-esiste la venuta del soggetto. Il linguaggio è qualcosa che attende la nascita del soggetto e nel quale viene immerso. Basti pensare alle fantasie che un genitore riversa sul proprio figlio ancora non nato: si chiamerà così, un domani farà questo lavoro, sarà intelligente come me ecc… Per dirla in breve: nasciamo prima ancora di venire al mondo grazie alla potenza evocativa del linguaggio.


Il soggetto psicotico ha un rapporto completamente diverso e problematico con il linguaggio (dal quale, ricordiamo, è abitato non abitante). Cos’è che fa cilecca, nella psicosi, e problematizza il legame tra questi e il linguaggio? Cos’è che manca? Manca ciò che Lacan teorizza come il significante dei significanti, quello che mette in ordine tutto quanto: il Nome del Padre. Immaginiamo uno spazio sconfinato pieno di lettere e di parole completamente sparpagliate, senza alcun senso logico. Il Nome del Padre è ciò che mette in ordine il caos e rende possibile la ricerca e la costruzione di un senso. Senza questo significante primordiale, diventa difficile e a volte impossibile saperci fare con il simbolico. A questo punto la domanda sorge spontanea: ma è una questione genetica? L’assenza di questo significante è definitiva? Il soggetto psicotico è condannato?


Andiamo per ordine. Da dove viene fuori questo significante N.d.P (Nome del Padre)? Proviamo ad essere brevi e concreti. Perdonerete la banalità del romanzo che sto per proporre ma credo che faccia al caso nostro: il bambino sin dall’inizio della sua nascita sperimenta l’andirivieni materno. Quando piange la mamma viene. Poi però se ne va. Allora, potrebbe pensare il bambino, c’è qualcosa che va oltre me. C’è qualcosa che interessa mia madre (il proprio marito, il lavoro, un hobby e via discorrendo) che eccede me. Cos’è questo qualcosa che mia madre desidera? Nasce l’incognita, emerge la domanda. Questa domanda necessita di una risposta che il soggetto stesso formula per tappare il buco del non-sapere del non-senso. Ecco qui l’abbozzo del N.d.P. che entra in funzione. Sia chiaro: affinché sia possibile far emergere questa domanda è necessario che l’Altro (in questo caso la madre) non sia sempre tutta presente o tutta assente. C’è e non c’è. Dentro e fuori. Acceso e spento. Buio e luce. Gli opposti si formano ed inizia a crearsi la costellazione simbolica ordinata. Il soggetto psicotico non ha fatto esperienza di questa oscillazione (non è detto che sia avvenuto nella realtà dei fatti ma lui non ne ha fatto esperienza) e magari è stato in balia di un desiderio dell’Altro totalizzante che non ha mai spostato lo sguardo da lui. Non c’è stato il terreno fertile per la costruzione di un mondo simbolico accessibile. Se avete visto il film ‘’Joker’’ del 2019 avete ben chiaro ciò di cui si parla: un rapporto fusionale con il materno al limite dell’incestuoso, una mancanza di separazione dall’Altro, sono tutti ingredienti che concorrono a formulare la ricetta di una struttura psicotica.


Quindi lo psicotico non abita il linguaggio ma ne è abitato ed è abitato precisamente dal linguaggio dell’Altro perché è solo il linguaggio dell’Altro che ha un senso strutturale e strutturante il soggetto. I fenomeni elementari delle psicosi scatenate: le voci e i pensieri perturbanti soprattutto, è il linguaggio dell’Altro che non ha mai abbandonato il corpo del soggetto. Lo sguardo che non si è mai allontanato da lui diventa il futuro sguardo persecutore. L’Altro non è più il luogo dove ricercare la risposta all’enigma del proprio desiderio ma l’agente che gode sadicamente del soggetto, l’entità che vuole approfittare di lui e dal quale difendersi a tutti i costi.


Facciamo un esempio pratico di cosa significhi questa assenza del significante N.d.P. e di come comprometta il funzionamento psichico del soggetto psicotico. Immaginiamo di star camminando per strada con un gruppo d’amici e incrociando un ragazzo o una ragazza, notiamo che ci sorride o ci fa l’occhiolino. Un soggetto nevrotico potrebbe interpretare questo incontro in vari modi: gli piaccio. Forse ci siamo conosciuti e non ricordo chi è. Magari non sorrideva a me ma al mio amico. Insomma chi più ne ha più ne metta. Il soggetto psicotico, invece, davanti a questo enigma (ricordate l’enigma ‘’cosa vuole mia madre oltre me?’’), impossibilitato a viaggiare nel mondo del senso, inizia a creare una costruzione che sebbene improbabile però mette a tacere l’angoscia emersa dalla mancanza di senso: vuole uccidermi. Lui/lei sorride perché sa chi sono realmente. Ha fatto l’occhiolino al mio amico perché sono in combutta per uccidermi questa notte.

L’autoreferenzialità regna sovrana. Tutto ciò che circonda il soggetto psicotico è esclusivamente in relazione a lui e non c’è altro senso se non quello costruito individualmente. Questo processo testimonia il motivo per il quale non è possibile tornare indietro da una costruzione delirante: perché se non ci fosse tale costruzione, il soggetto sprofonderebbe nel baratro dell’assenza di senso, svanirebbe, evaporerebbe così com’è evaporata la logica che tiene su un mondo fatto di tanti pezzi sparpagliati.

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