Occorre fare una precisazione iniziale: il lutto può assumere diverse forme e non obbligatoriamente, quando ne parliamo, ci riferiamo esclusivamente ad una morte reale. Possiamo parlare di lutto anche quando finisce una relazione d'amore ad esempio, quando perdiamo il lavoro che amiamo, quando finisce un'amicizia storica. Insomma, parliamo di lutto ogni qualvolta che ci viene tolto qualcosa su cui vi era un investimento importante. Ovviamente, una volta che questo oggetto viene meno, l'economica psichica ne risente in modo direttamente proporzionale all'investimento perduto e a quel punto occorre fare i conti con la perdita affinché si possa instaurare nuovamente l'equilibrio che si aveva prima del lutto.
Cosa succede quindi quando il soggetto è chiamato a fare i conti con una separazione definitiva dall'oggetto? Dove finisce quell'energia psichica che s'era legata ad esso? Quali sono le conseguenze che si verificano?
Andiamo per ordine e prendiamo come bussola l'insegnamento di Freud.
In primo luogo quando l'oggetto amato viene perduto, si produce un taglio netto. La libido investita torna immediatamente al mittente. Per dirla in maniera semplice possiamo immaginare una corda tirata che lega due soggetti. Quando uno dei due la recide, ciò che ne rimane si ritorce in un colpo di frusta verso il soggetto. Allo stesso modo la libido torna al soggetto in un investimento narcisistico primario. A questo punto inizia il calvario: il soggetto è chiamato ad affrontare una fase depressiva. Freud è molto chiaro su questo punto. La depressione è il primo passo per elaborare un lutto. Occorre un tempo (soggettivo, diverso per ogni individuo) per stare male affinché si possa passare oltre, affinché il soggetto possa tornare ad investire in altri oggetti quell'energia psichica in eccesso che tanto lo fa soffrire.
Questo accade negli scenari migliori ma, come la clinica e la quotidianità ci insegnano, non sempre è così facile. L'alternativa più frequente che osserviamo è l'attaccamento all'oggetto perduto, al non volerne sapere di lasciarlo andare. Questo processo ritarda di un tempo indefinito la fase depressiva (spesso sostituita con vissuti di rabbia, di odio verso l'oggetto perduto, di svalutazione o di denigrazione) e, di conseguenza, ritarda l'uscita dalla fase luttuosa. Per essere più banali possibile: il soggetto pur di non stare male (depressione) decide di stare peggio (attaccamento, negazione).
Nei casi più gravi assistiamo ad un vero e proprio sprofondamento psicotico così come accade nei casi di melanconia. La melanconia è una declinazione della psicosi che rende estremamente complicata l'elaborazione della separazione simbolica (ne parlo qui). In questi casi estremamente gravi ci possiamo trovare difronte a dei soggetti che allucinano l'oggetto perduto e che quindi raccontano con estrema convinzione di aver visto aggirarsi per casa il proprio marito ormai defunto, di parlare tramite messaggi mentali con il figlio morto, di sentire la voce della propria madre nel cuore della notte. In questo caso la libido che è tornata indietro a seguito della separazione reale, non è più stata reinvestita nel mondo e, come valvola di sfogo, continua ad agire all'interno dell'economia psichica del soggetto restaurando in modo delirante, allucinatorio, l'oggetto che ormai non c'è più.
Benché sappiamo che dopo una […] perdita cesserà lo stato acuto del lutto, sappiamo anche che resteremo inconsolabili e che non potremo trovare un sostituto. Qualsiasi cosa possa colmare il vuoto, ammesso che possa essere del tutto colmato, resterà comunque qualcosa di diverso. Ed è ciò che deve effettivamente accadere. È il solo modo per perpetuare quell’amore a cui non vogliamo rinunziare. (S. Freud 1929, lettera di condoglianze a Binswanger)
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