Disturbi dell’Alimentazione: uno sguardo psicoanalitico
- Andres Rivera Garcia
- 17 giu
- Tempo di lettura: 3 min

Il corpo non mente. Ma spesso parla da solo.
Quando pensiamo ai disturbi dell’alimentazione – anoressia, bulimia, binge eating – ci viene spontaneo pensare a una questione di cibo, peso, controllo. Ma la psicoanalisi ci offre una prospettiva diversa: il corpo che “si ammala” di cibo sta dicendo qualcosa che non ha trovato parole.
In questo articolo esploriamo come la psicoanalisi legge i disturbi del comportamento alimentare: non come semplici comportamenti disfunzionali, ma come modalità profonde e simboliche attraverso cui l’inconscio prende parola.
Il disturbo alimentare come messaggio
La psicoanalisi ci insegna che ogni sintomo ha un significato. Anche quando sembra assurdo, autodistruttivo o inspiegabile, il comportamento sintomatico rappresenta un tentativo di soluzione psichica.
Nel caso dei disturbi alimentari, il corpo diventa un linguaggio dell’inconscio:
chi non riesce a mangiare forse vuole sottrarsi al bisogno;
chi si abbuffa può cercare una compensazione affettiva;
chi controlla ossessivamente il peso tenta di difendersi dalla perdita di controllo emotivo.
Dietro ogni gesto alimentare si nasconde una relazione, una mancanza, un legame spezzato.
Il corpo come scena psichica
Per la psicoanalisi, il corpo non è solo biologico. È anche corpo vissuto, corpo guardato, corpo che parla. Nei disturbi alimentari, il corpo diventa spesso un luogo di traduzione simbolica del conflitto interno:
rabbia, vergogna, desiderio, bisogno d’amore……trovano forma nei gesti ripetitivi e spesso sofferenti del comportamento alimentare.
“Il corpo parla quando le parole sono state rifiutate.”— Joyce McDougall, psicoanalista e autrice di Theaters of the Body
Il ruolo delle relazioni primarie
Il modo in cui un bambino viene nutrito, accudito, contenuto nelle prime fasi della vita lascia un’impronta duratura nella costruzione dell’identità e della regolazione affettiva.
Se l’altro (caregiver, figura materna) è incoerente, invadente o non sintonizzato, il cibo può diventare:
un mezzo per ottenere amore,
un modo per separarsi,
una forma di controllo quando la relazione fa sentire impotenti.
📌 Il sintomo, in questi casi, è una difesa. Una risposta alla mancanza di contenimento relazionale ed emotivo.
Non è una questione di forza di volontà
I disturbi alimentari non sono “capricci”, né dipendono da mancanza di forza. Sono organizzazioni psichiche complesse, radicate nel modo in cui il soggetto ha imparato a sopravvivere nel suo mondo affettivo.
Molte persone con DCA sono:
perfettamente “funzionali” sul piano esterno,
estremamente autocontrollate,
ma internamente divise tra bisogno e rifiuto, tra fame e paura dell’incontro.
Cosa può offrire la psicoterapia psicoanalitica?
La psicoanalisi non impone regole alimentari. Il suo compito è ascoltare il sintomo, esplorare cosa esprime, e aiutare il paziente a trasformarlo in parola e consapevolezza.
In terapia, si lavora per:
comprendere il significato affettivo del sintomo;
esplorare le relazioni precoci che hanno influenzato l’identità corporea;
creare uno spazio sicuro in cui i bisogni non siano più vissuti come minacce.
📌 Il percorso è lento, ma profondo. E apre alla possibilità di ricostruire un rapporto più umano, libero e autentico con sé stessi.
Conclusione
Un disturbo alimentare non parla solo di cibo. Parla di amore, di rifiuto, di mancanza. Parla di un corpo che ha imparato a sopravvivere, ma non ancora a essere ascoltato.
La psicoanalisi non giudica il sintomo. Lo accoglie, lo decodifica, e lo trasforma in parola viva. Perché ogni gesto, anche il più doloroso, ha un senso. E può diventare punto di partenza per un processo di cura.
👨⚕️ Se ti riconosci…
Se senti che il tuo rapporto con il cibo è difficile, carico di colpa, controllo o vuoto, sappi che non sei solo.
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