Ci troviamo nuovamente ad essere testimoni davanti ad un evento che, con una certa inquietante costanza, si ripropone nelle prime pagine di cronaca nera. Ancora una volta assistiamo inermi ad un fatto il cui epilogo è dei più tragici, irreversibili. Apparentemente ci troviamo davanti ad un omicidio che ha un movente incomprensibile, folle, come fosse un passaggio di un racconto di Stephen King. La strada per cercare di comprendere questo dramma però non è quella del misticismo, dell’ignoto, dell’occulto ma quella della fenomenologia della clinica psicotica e, più precisamente, di una delle sue declinazioni: la paranoia.
Facciamo una premessa: fino a quando la ricostruzione dei fatti non sarà completa, questa riflessione è semplicemente uno spunto superficiale per gettare un po' di luce laddove invece regna l’oscurità dell’ignoranza. Per adesso quindi ragioniamo solo su questo passaggio: un uomo, apparentemente con un forte fanatismo religioso, nel cuore della notte si sveglia e stermina quasi tutta la sua famiglia (la figlia di 17 anni si salva e non si sa come e perché) perché in loro – a detta dell’omicida – si nasconde il demonio. Risparmio i dettagli su come abbia ucciso ogni singolo membro della famiglia per rispetto di chi legge ma anche per il rispetto della loro memoria. Nonostante questo anche nel modus operandi utilizzato si nascondono tracce di una trama psichica contorta, non afferrabili se non dall’esecutore stesso.
Le domande che solitamente ci si pongono successivamente ad eventi simili sono: com’è possibile? Cos’è successo? Come si può arrivare a tanto? Abbiamo detto di volgere lo sguardo alla fenomenologia della psicosi paranoica in quanto, attualmente, sembra trattarsi di un vero e proprio scompenso psicotico con conseguente passaggio all’atto. Partiamo dal presupposto che un soggetto psicotico, ci insegna la clinica, non per forza è all’apparenza un folle che parla da solo, con bizzarrie varie ed appariscente. La clinica ci insegna che un soggetto psicotico può essere compensato e quindi risultare una persona come tante altre, forse con qualche particolarità ma dopotutto chi non ne ha? Questo tipo di psicosi non conclamata viene chiamata psicosi bianca. Per intenderci: immaginiamo di essere degli sgabelli. Uno sgabello si regge bene se ha quattro gambe; si regge benino se ne ha tre (come una psicosi bianca) ma se viene a mancare un’altra casca inevitabilmente giù. Questa terza gamba che funge da compensazione può essere di qualsiasi tipo: l’aderenza al lavoro (ricoprire il posto di un capo, di un leader), l’arte (la poesia di Alda Merini ne è la prova) o anche…la religione. Il soggetto psicotico non scatenato si può reggere immaginariamente servendosi di queste strategie ma ad un certo punto può accadere che la vita riserva un incontro inaspettato e non voluto, un incontro che mette davanti quel soggetto con una questione la quale risulta impossibile da rispondere. A questa mancanza di senso emerge l’angoscia fino a quando si arriva al passo successivo, quello dal quale raramente si torna indietro: la formazione del delirio. Il delirio (la mia famiglia è posseduta dal demonio) è una possibilità di dare senso a ciò che prima non ne aveva. Il delirio è come far scendere un velo sulla realtà, una patina costruita ad hoc per tappare i buchi di non senso lasciati scoperti da quell’incontro con una domanda angosciante.
Cosa intendiamo quando parliamo di questa domanda? Parliamo dell’impossibilità di interpretare la domanda dell’Altro in quanto carente – il soggetto psicotico – di quel significante che permette di aderire al sistema simbolico. Parliamo dell’impossibilità di metaforizzare il reale della vita. Facciamo un esempio così che si capisca bene il concetto. Supponiamo di star camminando lungo il corso della nostra città. Un uomo od una donna ci guarda e ci sorride. Un soggetto nevrotico (quindi uno sgabello a quattro gambe) potrebbe avere un ventaglio più o meno ampio di interpretazioni a riguardo: mi sorride perché gli piaccio, mi sorride perché magari ci siamo conosciuti solo che non mi ricordo chi è, magari sorride alla persona dietro di me oppure mi sorride perché mi ha scambiato per qualcun altro. Il soggetto psicotico (sgabello con tre gambe) potrebbe non avere questo ventaglio e allo sguardo dell’altro non risponde ma avanza una domanda: perché mi sorride? Questa domanda, come detto in precedenza, fa emergere l’angoscia che necessita di una risposta per essere placata. Un soggetto paranoico (quindi un soggetto che vede nell’Altro un persecutore, qualcuno che vuole approfittare di lui, fargli del male, abusare) potrebbe rispondere con un’ideazione delirante: mi sorride perché vuole uccidermi, mi sorride perché sa qualcosa che sta per succedermi, mi sorride perché…è il diavolo che vuole farmi del male.
A volte la soluzione delirante non è però sufficiente a pacificare l’angoscia e quindi cosa resta da fare? Il passaggio all’atto ossia un’azione che ha come scopo interrompere il flusso di angoscia agendo direttamente sul reale, al di fuori della dimensione della parola. Nel caso in questione, per un fervente religioso, distruggere il demonio equivarrebbe a distruggere l’Altro, il vero persecutore della sua vita. Quell’Altro che probabilmente non è stato in grado di accogliere la sua domanda in tempi aurorali, quell’Altro che può essere buono o cattivo.
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