La logica del discorso del nevrotico ossessivo in rapporto al suo desiderio ha in comune, con quella del soggetto isterico, l’insoddisfazione del proprio desiderio. Questo però non ci deve trarre in inganno e far pensare che, sebbene l’epilogo dei due circuiti sia per lo più identico, le strutture viaggino su binari simili. Il nevrotico ossessivo ha un desiderio fin troppo aderente all’Altro tanto che il proprio si perde nell’alterità. Potrebbe sembrare che allo stesso modo del gioco isterico, il soggetto ossessivo sacrifichi il proprio desiderio in virtù di quello dell’Altro ma in realtà non c’è alcun rito sacrificale: il discorso è più proiettato nella direzione di una delegazione del proprio desiderio all’Altro. Il nevrotico ossessivo, cioè, lascia in mano all’Altro la palla del proprio desiderio facendo sì che l’Altro e solo l’Altro sia l’unico responsabile – o meno – della propria felicità. Questo ci porta ad affermare con certezza che la deresponsabilizzazione circa la soggettiva soddisfazione è cruciale in questo contesto.
Basti pensare a quando il paziente raggiunge l’analista e, dopo avergli vomitato addosso tutto il proprio malessere, viene pervaso dall’illusione (ma anche dalla pretesa) che sia questi ad esorcizzarlo dai suoi demoni. Proprio con questi soggetti l’atto che Lacan chiama rettifica soggettiva (ossia l’assunzione di responsabilità circa la propria sofferenza, il prendere atto dell’essere protagonista della propria vita) è un passaggio tanto ostico quanto lungo ma assolutamente fondamentale affinché si possa instaurare una vera relazione di cura.
Il rapporto dell’ossessivo con il proprio desiderio è un rapporto particolare, ambivalente e a tratti paradossale. Quando infatti l’oggetto del desiderio diventa a portata di mano il soggetto si ritrae facendo intervenire la censura del Super Io (soprattutto vissuto come un forte senso di colpa) in tutta la sua devastante portata. Il desiderio infatti rimane e deve rimanere un desiderio interdetto, qualcosa da bramare ma da cui tenersi a debita – ma non troppa – distanza.
Pensiamo, per fare un esempio simpatico e sotto gli occhi di tutti, agli uomini (ricordiamo che come l’isteria tende di più sul versante femminile, la nevrosi ossessiva tende più su quella maschile) che si cimentano nella pratica del collezionismo. Gli oggetti vengono incellofanati, etichettati, serializzati, esposti in bella vista e mediante un ordine logico. La soddisfazione di vedere la propria collezione, che però non può essere mai toccata, mai goduta – pena l’usura della stessa -, è l’esemplificazione del rapporto che il soggetto ossessivo intrattiene con il proprio desiderio. Possiamo anche aggiungere qualcosa in più: qual è quell’oggetto che, sin dalla prima infanzia, è tanto bramato dal bambino ma al contempo bandito dal campo della coscienza perché impossibile moralmente da avere? Ovviamente parliamo della propria madre. Infatti sarà l’intervento paterno che sancirà il limite del campo del desiderio del bambino, instillando attraverso la Legge della castrazione il tabù dell’incesto mostrandogli però la via per poter avere altro in futuro. Non tua madre oggi ma un’altra donna domani. Allo stesso tempo, però, l’aver avuto accesso alla beatitudine fusionale dell’alienazione con l’amore materno rimane inscritto nel corpo del soggetto e ciò che viene rimosso torna sempre sotto forma di altro, soprattutto di sintomo.
Un’altra importante differenza della logica ossessiva rispetto a quella isterica, è il rapporto di assoluta prossimità che intrattiene con l’Altro fino a quasi ad alienarsi ad esso. Mentre il circuito isterico si sostiene sulla logica del servo e del padrone (su cui cerca di regnare), quello dell’ossessivo gravita attorno al tripode servo-padrone-morte. Mettersi nella posizione del servo, del servo perenne, assicura in un certo modo al soggetto ossessivo una schermatura dalla morte. Mentre il servo aspetta la morte del suo padrone per avere la libertà (da cui però rifugge), il padrone attende solo la morte. Tra il servo e la morte si frappone la figura del padrone che, se da un lato detiene ciò che il soggetto agogna (la libertà), dall’altro la sua scomparsa lo metterebbe faccia a faccia con la vita e di conseguenza con la morte.
A questo punto è possibile sottolineare un’ultima sostanziale questione che evidenzia come la struttura isterica e quella ossessiva, differiscono in relazione al rapporto che esse intrattengono con l’Altro: l’isterica scava la mancanza nell’Altro, si nutre del suo desiderio, della sua castrazione; l’ossessivo non tollera in alcun modo la mancanza dell’Altro. Non ne vuole sapere, per dirla in altro modo, dell’inconsistenza dell’Altro, della sua inesistenza. Dire che l’Altro sia mancante, desiderante, castrato implica che anche lui non ha alcuna garanzia da dare al soggetto e, anche a costo di mettere in scena ogni produzione sintomatica, il soggetto nevrotico tenta di negarlo a se stesso. Punta a farlo esistere ad ogni costo proprio per continuare a vivere lontano dalla morte, dalla sua vita, dalla responsabilità che ha su di essa.
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