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Dipendenza affettiva o difficoltà a separarsi dall'Altro?



In questo particolare tempo che stiamo vivendo si ha la necessità, a quanto sembra, di dover obbligatoriamente dare un nome, siglare, incasellare in una specifica area medico/scientifica ciò che viene vissuto come un patimento. Sembra quasi un volersi tenere lontani dall'angoscia di sapere che ciò che genera questo pathos in realtà riguarda esattamente la vita del soggetto, una scorciatoia per rimandare la propria responsabilità ad un termine medico, ad un agente altro che perturba l'esistenza dell'individuo il quale è un passivo spettatore, una vittima impotente. Eppure, se ci pensiamo bene, ciò che oggi viene inquadrato nei manuali diagnostici della psicopatologia, ciò che tenta di tappare il buco della singolarità con l'universalità, c'era anche prima. Quindi, cos'è cambiato?

Questa digressione ci introduce al tema centrale: la dipendenza affettiva. Per i meno vicini alla psicologia sembra qualcosa di estremamente contemporaneo, come fosse una malattia uscita da un laboratorio alla stregua del tanto famigerato narcisismo patologico e le tante altre etichette che circolano quotidianamente a sproposito sui social. In realtà la dipendenza affettiva non è nulla di inedito anzi, possiamo dire che la dipendenza affettiva è il primo passo che permette al soggetto di costituirsi in quanto tale. Se prendiamo qualsiasi elenco sintomatologico che viene stilato sotto la voce di dipendenza affettiva non possiamo non notare che tutto gravita attorno ad una questione ben precisa: il soggetto (dipendente affettivo) che si fa oggetto del desiderio dell'altro. Il soggetto cioè nullifica ciò che riguarda il proprio desiderio affinché l'altro venga soddisfatto in tutto e per tutto. Lacan, nel suo primo insegnamento, dirà proprio che il desiderio è il desiderio dell'Altro ossia che il desiderio è quello di essere desiderato e amato dall'altro ma anche quello di fare proprio il desiderio dell'Altro, di assumerlo come se appartenesse al soggetto stesso. Considerando che Lacan è un acuto interprete degli scritti freudiani, il tema della cosiddetta dipendenza affettiva risale alla fine dell'800 (giusto per ribadire l'assoluta assenza di novità in questo tema).

Andiamo avanti: il cucciolo d'uomo nasce ovviamente in una condizione di dipendenza e, tra tutti gli animali, è quello che più a lungo risente di tale condizione (basti pensare che un cucciolo di leone dopo 3-4 mesi viene svezzato e a 3 anni può lasciare il proprio branco se riesce a cavarsela da solo). A differenza però del regno animale il cucciolo d'uomo non rimane in condizione di dipendenza per la sola necessità di soddisfare i suoi bisogni primari (mangiare, bere, dormire, ricevere delle cure in caso di malattia) ma e soprattutto per soddisfare la propria fame d'amore. L'uomo, diversamente dall'animale, si nutre non solo del seno ma anche del segno - per chiamare nuovamente in causa Lacan - ossia della particolarità con cui viene guardato, amato, desiderato. Il neonato non si soddisfa solo del siero materno ma soprattutto delle parole che accompagnano il calore del latte che pervade la sua bocca in un esplosione di assoluto godimento; si nutre della ninna-nanna, della culla mentre viene sfamato. Questo essere amato, desiderato, elevato alla condizione di colui che completa, che soddisfa la madre, è il primo tempo del complesso edipico così come lo concettualizza Lacan. La dipendenza tra madre e bambino è un passaggio particolare, delicato ma al contempo cruciale. Questa dipendenza ovviamente avrà una fine, deve avere una fine affinché il bambino possa abbandonare il suo essere assoggettato e impugnare lentamente la propria individualità ma la ricerca della condizione di dipendenza, di ritrovare quel paradiso perduto, perdurerà per tutto il resto della vita in maniera più o meno inconscia. Così come nel mito di Aristofane, il soggetto cercherà costantemente il ritorno all'Uno a costo anche di ammalarsi.




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