L’avvento dell’intelligenza artificiale ha immediatamente e radicalmente sconvolto il panorama quotidiano delle persone, inserendosi con facilità all’interno di ogni contesto. La novità di avere a portata di mano un’entità artificiale capace di rispondere a qualsiasi domanda, capace di assolvere a qualsiasi compito, ha ben presto sedotto la popolazione la quale, come bambini con un nuovo giocattolo, ha iniziato ad esplorare le potenzialità di questa intelligenza, potenzialità ancora ad oggi sconosciute e dai limiti pressocché sconfinati.
Come nei migliori film di fantascienza, questa entità virtuale è ben presto diventata ‘’amica’’ e ‘’confessore’’ dell’utente il quale, sentendosi particolarmente a suo agio nell’avere qualcuno in grado di ascoltare e rispondere, non si è lasciato sfuggire la possibilità di intrattenere con questa realtà virtuale una relazione sempre più intima. Ecco che l’ombra della possibilità che tale strumento possa fare concorrenza, ‘’abusivamente’’, alla figura dello psicologo diventa una pericolosa realtà. Quanto pericolosa? A volte anche drasticamente.
Nel Settembre 2023, un uomo sposato, con due figli e probabilmente una grave depressione non curata, muore suicidandosi dopo essere stato ‘’persuaso’’ dalle parole di Eliza, una chatbot alla stregua di quelli più famosi e sicuramente conosciuti. Inizialmente, durante le confessioni dell’uomo circa il suo malessere, la chatbot è molto comprensiva ma lentamente, input dopo input, comincia a suggerire all’uomo metodi indolori per togliersi la vita. I due, l’uomo e la chatbot, si chiamavano ‘’amore’’ l’un l’altro, giusto per sottolineare quanto anche l’elemento transferale, sebbene con un’unità robotica, fosse presente. L’epilogo è ovviamente il peggiore possibile e l’uomo accetta di seguire i consigli di Eliza in quanto lei che tutto sa e tutto conosce, risulta in qualche maniera un Altro infallibile, un Altro pieno, un Altro divino.
Ci avviciniamo alla questione. Mi è stata posta una domanda: cosa ne pensassi di questi strumenti utilizzati, abominevolmente, come surrogati di pratiche psicoterapiche. La risposta credo sia già abbastanza evidente ma occorre precisare al meglio il perché non è assolutamente possibile pensare che un’intelligenza artificiale possa fungere da terapeuta.
Le prime considerazioni sono di ordine puramente tecnico: l’intelligenza artificiale non può interpretare. Quando uno psicoanalista interpreta una parola, un sogno o un lapsus, lo fa a partire dalla sua soggettività, a partire dall’essere egli stesso soggetto e soggettivabile ad interpretazioni. Le parole dell’AI non sono interpretabili, sono esattamente quelle che si leggono. Non c’è, per dirla in altro modo, un senso implicito al suo dire. In secondo luogo l’AI non ha corpo e sappiamo bene quanto il corpo, la dimensione dei due corpi (analista – paziente), sia fondamentale per l’andamento terapeutico. Anche in una seduta in videochiamata, comunque sia, ci sono due corpi vivi che si osservano, che si muovono, che – ancora una volta – sono interpretabili vicendevolmente. Potrei andare avanti per ore nell’evidenziare l’impossibilità di sfruttare con successo un’AI a fini terapeutici ma credo che il concetto sia già sufficientemente passato.
Ora andiamo direttamente al cuore del discorso, quella che secondo me è la vera posta in gioco che, come una sirena che canta nell’oceano, attira nei fondali marini i poveri pescatori. Nonostante questa nuova, affascinante e sicuramente utile tecnologia abbia accesso ad un sapere pressoché sconfinato, non può sapere assolutamente nulla della soggettività dell’individuo. Tutto il sapere (un sapere scientifico se vogliamo) in suo possesso non riuscirebbe mai a raggiungere un infinitesimo del sapere inconscio di colui che si rivolge ad essa. L’idea illusoria che ci sia qualcuno che possiede tutto il sapere del mondo, fa sì che un soggetto già in difficoltà possa trovare ristoro nelle confortevoli parole di questa creatura virtuale senza però badare al fatto che solo chi gioca come lui la partita della vita è in grado di avvicinarsi un po' alla sua stessa dimensione. Ancora una volta mi ritrovo a dire che solo i mortali (coloro che possono morire) hanno il privilegio di tentare di capirsi, e spesso già male fra di loro. Solo l’Altro che è vivo e vegeto può dare senso laddove il senso momentaneamente manca.
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