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Immagine del redattoreAndres Rivera Garcia

L'amore in terapia: quando si occupa il posto sbagliato

C’è un interesse diffuso nelle dinamiche relazionali extra-terapeutiche che potrebbero intercorrere – se non già in movimento – tra terapeuta e paziente. La domanda che con una certa costanza emerge è: ma quindi non può succedere che tra il terapeuta e il paziente nasca un amore? Certamente, può accadere. La domanda che sollevo io, invece, è la seguente: deve accadere? In sostanza la domanda è se il terapeuta deve cedere davanti alla lusinga di un amore dettato, è bene sottolinearlo, da un controtransfert assolutamente non trattato. Ben inteso: l’amore che un paziente o una paziente può trovarsi a provare nei confronti del proprio terapeuta è sicuramente genuino, preziosissimo ai fini terapeutici. Quello che nasce, se nasce, da un terapeuta invece non lo è. Vi chiederete come mai solo uno dei due è legittimato mentre l’altro è addirittura bandito. Partiamo dal lato del paziente. Il paziente, qualsiasi paziente, quando si rivolge ad un terapeuta lo fa con una richiesta precisa: guariscimi. Questa richiesta (guariscimi) si può declinare in altri significanti come: prenditi cura di me, accudiscimi, amami. Non sto qui a ricordare come il transfert, nella maggior parte dei casi, sia una riedizione più o meno fedele alla relazione tra il soggetto e il suo Altro (e il primo Altro, teniamolo sempre bene in mente, è il genitore). Quindi la richiesta del paziente potremmo dire che è una richiesta d’essere amato. Fino a qui va benissimo purché il terapeuta abbia ben chiaro questo concetto. A questa richiesta d’amore l’analista risponde con il silenzio, smarcandosi dalla posizione immaginaria in cui l’analizzante lo colloca. Non subito ovviamente perché se così fosse non sarebbe possibile lavorare il transfert. In un primo momento l’analista è tenuto a sostenere questa posizione d’oggetto d’amore fino a dargli un’interpretazione che sciolga la tensione che sottostà a questo moto transferale. In un secondo momento, invece, il posto è lasciato vuoto. Perché? Perché ovviamente non è un posto che spetta a lui occupare. Sebbene la domanda di guarigione sottenda una domanda d’amore, il terapeuta è tenuto a guarire il paziente e non ad amarlo.


Passiamo ora dal versante del terapeuta. Sia chiaro che, sebbene il sentimento d’amore sia sicuramente un tema caldo in questa cornice, non differenzia molto da altri tipi di sentimenti controtransferali come la rabbia, il fastidio, la simpatia. Tutto il ventaglio emozionale che, inconsciamente, orienta il trattamento del terapeuta è considerabile un controtransfert. Noi ci focalizzeremo, visto che si parla di questo, sulla possibilità della nascita di un amore vero. Facciamo alcune considerazioni: in primo luogo se il terapeuta si innamora del paziente, non c’è risposta alla domanda di guarigione. Il terapeuta non sta, in altre parole, occupando il posto che eticamente gli spetta ossia quello del curante. In seconda battuta possiamo dire che il sentimento nascente è un sentimento mascherato e contaminato da due sintomi (quello del paziente e probabilmente quello del terapeuta): se il sentimento del paziente proviene da un transfert e, nel transfert c’è il vero nucleo sintomatico del soggetto, allora quello è un sentimento non diverso da quelli già provati in relazioni diverse ma con epiloghi simili. Come potrebbe, questa volta, essere diverso? La domanda iniziale di guarigione diventa così una reiterazione, una coazione a ripetere. Se a questo moto si aggiunge anche quello di un terapeuta poco avveduto o che probabilmente per ragioni imprecisate ha smarrito la bussola che orienta il suo lavoro, siamo davanti ad un vero e proprio Caporetto clinico. Il sentimento d’amore controtransferale è ancora più sintomatico di quello del paziente perché implica che l’inconscio del terapeuta, il suo sintomo per la precisione, riverbera silenziosamente con quello del paziente mettendo in scena un teatro talmente parodico che non può che essere un flop. Se ciò non bastasse chiediamoci: di cosa si innamorano entrambi? Il paziente sicuramente si può innamorare di un ideale, di ciò che si nasconde dietro il terapeuta ma che non è il terapeuta bensì solo ciò di cui si veste. Il terapeuta invece? Di cosa si innamora? Delle parole? Della storia? Di come viene guardato, considerato, dipinto? Cosa spinge due persone che occupano posti diversi in una relazione asimmetrica a stringere una relazione che vada decisamente oltre il limite consentito (anche dal codice deontologico)?

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