Il trauma transgenerazionale
- Andres Rivera Garcia
- 15 apr
- Tempo di lettura: 3 min

Si sente spesso parlare di ereditarietà del trauma, il cosiddetto trauma transgenerazionale. Cos’è, in parole semplici, questo trauma transgenerazionale? È un tipo di trauma psicologico che non riguarda solo l'individuo che lo ha vissuto direttamente, ma che viene trasmesso da una generazione all’altra. In pratica, i figli, i nipoti e anche i pronipoti possono manifestare effetti psicologici, comportamentali o emotivi legati a un trauma vissuto da un loro antenato, anche se non ne sono consapevoli.
Possiamo liquidare la questione ad una passiva ereditarietà? Possiamo, in maniera semplicistica, considerare il trauma transgenerazionale come la consegna da parte dell’Altro di un fardello che si tramanda da una generazione all’altra senza fine? Personalmente ritengo che il discorso debba essere dettagliato al meglio per non inciampare nel rischio di renderlo troppo fumoso.
Innanzitutto dobbiamo riprendere brevemente il concetto di trauma (ne parlo qui). Il trauma possiamo intenderlo come l’incontro del soggetto con l’insensatezza della vita, come l’impatto del non-senso con la struttura soggettiva. Dire ‘’non-senso’’ significa dire che qualcosa sfugge alla possibilità di significazione simbolica, significa affermare che c’è qualcosa che eccede la dimensione del linguaggio la quale, proprio per la sua strutturale incapacità di poter dire tutto, si arresta difronte alla potenza sconcertante del suo al di là. In questo spazio, in questo limbo tra il regno della parola e dell’incontro insensato con la vita (qualsiasi incontro: con la morte, con la sessualità, con l’amore e via dicendo) il trauma germoglia. Chiaramente, secondo la prospettiva della psicoanalisi, non esiste uno specifico evento che possa essere inteso come traumatico o meno. Ripeto: il trauma è l’incontro del soggetto con il non-senso, con il suo non-senso.
Qual è la risposta al trauma, allora, se non c’è possibilità di parola? La ripetizione dell’atto. La sua costante riedizione. La sua messa in scena continua nella speranza di poter elaborare in modo proficuo il drammatico epilogo. Arriviamo così al punto che ci interessa: il non detto. Quanti non detti abitano le famiglie? Quanto c’è dell’indicibile che circola nel discorso famigliare e coinvolge, volenti o nolenti, i suoi abitanti? Quanto di questa impossibilità a dire, manipola e plasma la struttura della famiglia e dei suoi singoli componenti a loro insaputa?
Pensiamo ad una ragazza, che chiameremo Rita, la quale nutre una particolare e grave forma di angoscia quando un ragazzo si approccia a lei e manifesta il suo desiderio sessuale. Non riesce a capire il motivo di questa angoscia che spesso si tramuta in terrore vero e proprio e che culmina in una fuga da qualsivoglia tipo di relazione. Esplorando il discorso della sessualità con Rita, a poco a poco il quadro del suo romanzo familiare viene a delinearsi con precisione. La nonna materna nasce da un abuso. Potremmo dire che la nonna materna nasce all’insegna di un trauma e non di un atto d’amore. Questo abuso diventa nel corso degli anni un tabù, un discorso che non solo la bis-nonna ma anche la nonna stessa fa cadere nel regno della rimozione. Non se ne parla, non si dice, non si risolve. Questa difesa non manda però la ripetizione in cortocircuito anzi, la alimenta e la fa propagare anche nella vita della madre di Rita e nella stessa paziente. Infatti il discorso della sessualità non è mai stato affrontato in casa. La sessualità è vista come qualcosa di estremamente sbagliato, di pericoloso, di doloroso; qualcosa che mette in pericolo la donna, un incontro non con la passione, l’amore, il desiderio ma con il mortificante, con il dolore e con il godimento (non desiderio) dell’Altro. Ecco che Rita, delicatamente, inizia a riconoscersi all’interno di un discorso che l’ha preceduta, che ha preceduto sua madre e sua nonna ma che è arrivato fino a lei. Un discorso non-detto ma assordante. Un discorso che, proprio perché taciuto, sfonda i timpani delle donne del ramo materno. Proprio durante una seduta, Rita dice ‘’non so perché ho così tanta paura, forse ho paura di rimanere incinta e di rimanere sola con un figlio’’. Esattamente ciò che è successo alla bis-nonna dopo l’abuso.
Questo è il trauma transgenerazionale secondo il mio modesto punto di vederlo e di trattarlo; un discorso taciuto, un tabù famigliare che si agisce ma non se ne parla. Proprio però perché non riguarda l’erede, esso ha la possibilità di rinunciare a questa eredità in virtù di altro e Rita è la testimonianza che si può scegliere di dire di no.
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