La psicoanalisi ironicamente fa gravitare gran parte delle sue teorie attorno alla figura materna in quanto essa è indubbiamente il perno attorno al quale gravita sia il corpo che lo psichismo del bambino. Potremmo dire che in questo rapporto c’è qualcosa dell’ordine del naturale, di un’antica eredità animale inscritta biologicamente nel somatico. Questo dato è empiricamente innegabile se si guarda il regno animale: la madre del cucciolo si occupa, in tempi sicuramente più brevi rispetto a quella umana, dell’accudimento della propria prole, del suo svezzamento e di fornirle le basi per poter sopravvivere in un regno decisamente più pericoloso del nostro. Ciò che viene definito padre, nel regno animale, è semplicemente il maschio che, lottando con altri rivali per assicurarsi la compagna migliore per la riproduzione, una volta terminato il rito dell’accoppiamento lascia il nucleo ‘’familiare’’ per tornare a dedicarsi alla sua sopravvivenza. Insomma, potremmo dire che tutti gli animali hanno una madre ma non un padre. Questa analogia tra il nostro mondo e quello animale serve per premettere che c’è una sorta di naturalezza (da prendere con le pinze quest’ultima parola) nella maternità ma non nella paternità. Infatti la figura paterna, differentemente da quella materna, è un costrutto sociale (così come lo è la famiglia). Lacan non a caso chiamerà il significante dei significanti, quello che permette l’accesso del soggetto al simbolico, Nome del Padre. Possiamo dire che la figura del padre coincide proprio con il simbolico nella misura in cui esso stesso è la testimonianza di un essere costruito dal discorso sociale? Potremmo avanzare questa ipotesi. La figura del padre, per la psicoanalisi, incarna ciò che viene definita la Legge. Questa Legge con la L maiuscola, non si riferisce chiaramente alla legge giuridica ma alla Legge che, dopo l’uscita dalla dinamica edipica del soggetto, inaugura il campo dell’impossibile – sia per la madre che per il figlio -: tu figlio non puoi godere di tua madre e tu madre non puoi godere di tuo figlio. In altre parole questo imperativo paterno sancisce una volta per tutte la Legge che vieta la dinamica incestuosa e taglia di netto il legame simbiotico tra quei due soggetti che altrimenti rimarrebbe pericolosamente inaccessibile al terzo. In questo modo il padre rimette, nei limiti delle sue possibilità, i soggetti al loro posto: la madre non sarà solamente madre ma tornerà ad occupare il posto di donna ed il figlio non sarà immaginariamente ciò che egli pensa di essere (l’unico desiderio della madre, il tappo che copre l’insoddisfazione materna, l’oggetto del suo desiderio). Solo in questo modo il bambino o la bambina potranno avere accesso a quel al di là abitato dal desiderio. Precisiamo: il padre non è solo il padre della Legge ma è anche il padre della possibilità. Tu figlio non puoi avere questa donna oggi (la madre) ma un’altra donna domani. Il padre, per così dire, oltre a proibire l’incesto si occupa anche di offrire al bambino la promessa di poter avere altro in un secondo momento. Si fa testimone di una possibilità altra che il soggetto, un domani, potrà cogliere per cercare di saziare la sua fame di desiderio che in un primo tempo gli è stata preclusa proprio da colui che oggi invece gli promette un altro tipo di tesoro. Come vedete questa dinamica, nel regno animale, è assolutamente assente. La figura del padre animale è una figura che non ha questa fondamentale importanza per la sopravvivenza dei propri cuccioli. Ben diversa è la storia del padre umano: se questo lavoro non gli riesce bene, se non fa del suo meglio per occupare quel posto particolare che socialmente gli compete, tutto il discorso cade. E cosa succede se cade? Cosa succede se quel famoso Nome del Padre non viene trasmesso? Qui si entra nel campo della psicosi. Il soggetto psicotico, infatti, non è tutto nel simbolico ma lotta costantemente per fare i conti con un mondo (simbolico) senza essere provvisto di quel regolatore (Nome del Padre) che funge da bussola. I fenomeni di smarrimento, di confusione, di insalata di parole, di delirio e via discorrendo, stanno a testimoniare proprio l’impossibilità del soggetto di orientarsi in un mondo che invece richiede questo operatore in grado di tradurlo.
Quindi questa è tutta una faccenda che riguarda esclusivamente il padre? Assolutamente no altrimenti saremmo esclusivamente il prodotto dell’Altro. Innanzitutto è bene sottolineare che sia il padre che la madre, per la psicoanalisi, sono due funzioni e per tanto possono essere esercitate da chiunque sappia occupare questi posti. La funzione paterna, ad esempio, può essere occupata anche da una comunità riabilitativa che se si pone nei confronti di un soggetto nella posizione di regolatore, può trasmettere sia la Legge che la promessa. Allo stesso modo una madre può incarnare la funzione paterna pur rimanendo madre facendo esistere il Padre nelle sue parole e nei suoi atti. Lacan stesso dirà che la Legge del padre è ciò che la madre se ne fa delle parole del padre. In altri termini: se le parole del padre non sono supportate anche da quelle della madre, quelle parole sono vuote, insignificanti, prive di valore. Quante volte si sentono discorsi in cui il soggetto lamenta la ‘’debolezza’’ paterna perché la propria madre trattava quelle parole come se fossero dette da un nessuno. C’è quindi una complicità familiare che gira attorno alla funzione paterna e che, per il bene del proprio figlio, dovrebbe tentare di dare ad essa il giusto valore.
Infine c’è il soggetto: è vero che in un primo tempo della partita, come ripeto sempre, la palla è nelle mani dell’Altro ma in un secondo tempo, questa stessa palla, gli viene consegnata con una domanda: ora che te ne fai di questa? Il soggetto stesso sarà chiamato a fare i conti con ciò che la vita (la vita intesa come la declinazione che ha preso la sua vita a partire dal nostro ragionamento) gli ha dato o meno. Non ci sarà mai, per concludere, un padre buono o cattivo così come non ci sarà mai una madre buona o cattiva. Ci saranno solo un padre ed una madre con cui dover fare i conti.
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